Le sette parole di Cristo – Dialogo con Massimo Cacciari
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Per la VERSIONE CON AUTOGRAFO di Riccardo Muti clicca qui
Lingua: Italiano
Anno: 2020
Editore: il Mulino
Formato: Soft Cover
Made in Italy
Masaccio e la «Crocifissione», con il suo fondo dorato che ferisce gli occhi, con la Maddalena prostrata ai piedi della croce;
Haydn e la musica delle «Sette ultime parole del nostro Redentore in croce», espressione straziante del sacrificio di sé. Masaccio e Haydn si fondono in un’unica immagine, come ci svela questo dialogo d’eccezione. Le parole di Cristo morente si fanno suono e senso universale che trascendono l’immagine stessa, divenendo pura astrazione.
Rassegna stampa
Se l’uomo è uno strumento che suona l’armonia divina
In un libro, il dialogo-capolavoro tra Cacciari e Muti sul rapporto tra note, immagine e spiritualità
– di Fiamma Nirenstein | 20 febbraio 2021
Non so se Riccardo Muti e Massimo Cacciari volessero parlare di Dio dialogando sul rapporto tra musica e immagine, a partire da Masaccio e da Le sette ultime parole del nostro Redentore in croce di Haydn. Ma Le sette parole di Cristo (Il Mulino) va molto oltre, e la presenza di Muti conduce alla fine a una domanda molto impegnativa: che cosa è la musica? Le sette ultime parole pronunciate da Cristo in croce si rispecchiano nella meravigliosa Crocifissione di Masaccio, con il suo accecante sfondo dorato, che Muti racconta di aver visto per la prima volta a Capodimonte restandone fulminato.
Muti e Cacciari mostrano l’incontro tra Masaccio e Haydn, inevitabile perché entrambi hanno intrapreso un dialogo «umano divino».
Che cosa vuol dire? Semplicemente, Haydn ha disegnato in musica le sette frasi che definiscono Cristo nella sua dolcezza, disperazione, divinità: ha disegnato Dio nella sua umanità, illustrando il rapporto, appunto, tra umano e divino. Lo stesso fa Masaccio: la tragica umanità del corpo sofferente, insieme alla compostezza ferita a morte della madre, alla stupefatto e fatale dolore di Giovanni, e alla passione sensuale della Maddalena che, quasi per pudore, non vediamo in viso ma solo nel manto vermiglio teso dalle braccia disperate, lanciate verso l’alto ad abbracciare il corpo di Gesù… È una «somma» di colori che pensano tutto l’insieme della vicenda di Cristo, e il suo messaggio umano-divino. Come la musica di Haydn.
Cacciari spiega che l’icona e il suono sono, in sostanza, una sola cosa, che un quadro si ascolta, e una musica si vede, che è il pensiero stesso a suonare e dipingere dall’inizio dell’avventura umana. Muti si tuffa in questo pensiero, con fare insieme spirituale e concreto, e anche spiritoso (come è lui). Alla fine a me, che i suoi autori lo vogliano o no, è sembrato che il libro ci conduca sulla via difficile e incerta per cui con la musica si parla di Dio. E di che altro alla fine deve parlare il mistero? Quante volte gli esseri umani si sono chiesti dove è la sua essenza, la sua origine, la radice?
Cacciari da una buona indicazione che cerca di ricondurci a una filosofia del nostro tempo, umana. Vico docet, dice: l’uomo non nasce animale parlante, prima vi è il grido, il suono, poi il suono assume ritmo, misura, e giunge a farsi canto. E qui, dice Cacciari, nell’essere un’originaria, innata potenza, è il segreto della sua forza. Muti accetta il gioco, e in modo molto diretto, personale, e quindi intessuto di un’esperienza musicale sublime. Il Maestro, ci conduce alle soglie del mistero, e cerca di spiegarci l’inspiegabile.
La dimensione pittorica, che dall’astratto delle note ci fornisce lo spazio concreto dei colori e dell’immagine, aiuta sulla strada del significato, ma non basta. È un gioco difficile fra concretezza e sublimazione. Muti ha diretto le «ultime sette parole» con la Filarmonica di Vienna proprio sulla tomba di Haydn. E racconta come il luogo in cui si suona cambi il suono stesso, non certo perché descriva concretamente una situazione, ma perché esiste nell’uomo un mistero che ne fa un essere musicale, e lo spinge a concepirla come «combinazione matematicamente magica di inafferrabili suoni che mostra se stessa al servizio di nient’altro che del proprio Dio».
Chi ha visto dirigere il Maestro Muti (anche sul teleschermo) ha avuto modo di osservare, a bocca aperta nel mio caso, come la sua percezione «matematicamente magica» e la sua personale somma di tutti «i mondi possibili» (cito le sue spiegazioni) nella musica che dirige, gli indichino poi in maniera diretta, inequivocabile, l’interpretazione, una sola, una scelta su un milione. La scelta germina dalla fantasia e dal sentimento insieme all’analisi minuziosa, semantica e storica, di tutte le componenti della partitura: armonia, forma, contrappunto, dinamica. Ma alla fine, dopo tanta precisione, quando Muti si chiede se allora è sicuro di aver raggiunto il risultato, la risposta tende sempre all’infinito; dopo aver scelto tante spiegazioni concrete sul luogo, la gente, il suono, l’indicazione del compositore… alla fine però Muti è come l’uomo davanti a un cielo stellato, solo con il Tutto. E quando individua la sua strada, essa è un sentiero nel mistero rivelato.
Insomma, il suono ha una potenza infinita: l’Uomo vuole suonare-cantare, dice Cacciari: vorremmo suonare noi stessi, parlando. Il nostro corpo desidera suonare. Muti dice addirittura che è il migliore degli strumenti. Ed ecco che si riaffaccia Dio, quando Muti chiede: «E non pensi che proprio questa nostra disposizione ad avere una natura musicale dipenda dal fatto che esiste un’armonia dell’intero Universo? Non è l’Harmonia mundi che in noi si incarna?». Muti spiega che l’emozione che può derivare dalla musica appartiene anche al profano che non ne sa nulla. Insomma, Muti deve prendere la decisione su quale forma dare alla emozione, ma il rapimento che ne deriva vale per tutti, anche per l’incompetente. Muti insiste quando Cacciari gli indica la strada della norma che alla fine deve regolare l’emozione: il suono interiore è universale, «lo devono sentire anche gli animali e le piante».
Il mestiere di direttore d’orchestra dunque per Muti è un immenso insieme di conoscenza, percezione, e anche funzioni tecniche diverse da paese a paese, da lingua a lingua; per esempio, spiega, chi non sa il latino non sa che Verdi non mette l’accento nell’incipit del suo requiem su quella parola, appunto «requiem», che in genere viene sottolineata come un solitario, severo monito. Verdi ha scritto come incipit una frase intera di disperazione e preghiera che cambia tutto il tono della musica: «requiem eternam dona eis Domine». Insomma, chi dirige deve sapere esprimere quella disperata ma dolce richiesta di quiete, che cambia del tutto il sentimento. Anche la lingua dell’autore, aggiunge Muti, suggerisce universi diversi, Brahms e Verdi sono distanti quando parlano di morte o di vita. La parte filologica dell’interpretazione dunque è per Muti molto importante ma, ci dicono i dialoganti, quello che deve prevalere (se il direttore è bravo, Muti più volte butta in campo questo inevitabile fondamento) è la carica interna, cioè spirituale della musica.
E quando percorrendo le sette parole i due rimescolano le carte torna la stessa domanda: è spirituale la musica, è materiale? È come dice Cacciari materia sonora primordiale perché si trova di nuovo nella nostra origine nella notte dei tempi? Qui, e non è un caso secondo me, comincia la discussione su Gesù Cristo, ovvero sulla rappresentazione in forma umana della divinità, che non si vede, non si sente, non si tocca… ma c’è. Non a caso Cacciari cita all’inizio della disamina delle Sette parole il prologo di Muti alla sua direzione a Ravenna: «Vi troverete tutti con la vostra vita, le vostre paure, le vostre speranze tutti uniti in Cristo, cioè l’umanità di Cristo. È questa ciò che voi ascoltate». E da qui si snoda, nella contemplazione del quadro di Masaccio la citazione dal «Padre perdona loro» fino al «Padre nelle tue mani consegno il mio Spirito», dove «il chiaroscuro delle note trafigge la coscienza e la pone di fronte al mistero della Croce, dove l’umano e il divino cadono e risorgono insieme». Per Muti, in questa musica quintessenziale, perché profonda, scura di morte, brilla una luce, come nel quadro di Masaccio: «l’ascoltatore interrompe il pensiero per affidarsi al sentimento del divino che scopre dentro di sé».
Muti, con Cacciari, ci conduce nelle praterie della musica che placa, che difende, che abbraccia come quella della «serenità pacificata» della Creazione: «Della tua bontà o Signore la terra e il cielo sono pieni». Un tonalità di do maggiore, e la musica (di nuovo, si può dire con un sorriso, se ben compresa, sezionata, ricomposta, pensata, sentita) ci accompagna dove si trova il mistero.
Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 20 febbraio 2021
«Il mio Dio tra Haydn e Masaccio»
– di Donatella Longobardi | 1 ottobre 2020
Riccardo Muti con Cacciari in un dialogo a due voci per «Le sette parole di Cristo»
Riccardo Muti ricorda sempre con emozione l’esecuzione di Haydn con la voce recitante di monsignor Vincenzo De Gregorio, ospite dell’associazione Scarlatti in un luogo unico e magico del centro antico di Napoli: la basilica di San Lorenzo Maggiore. Un luogo simbolico dove, sottolineò il maestro visitando convento e scavi, «Boccaccio incontrò Fiammetta e dove è racchiuso il dna di Napoli». Ora Le sette parole di Cristo diventano un libro in un dialogo a due voci tra musica e arte con il direttore napoletano e il filosofo Massimo Cacciari, spesso complici in incontri su temi di grande effetto nell’ambito del Ravenna festival, da Don Giovanni a San Francesco e a Dante. Ma il nuovo volume edito da Il Mulino e da oggi in libreria (doveva uscire a Pasqua, ma il coronavirus…), mette in evidenza un altro tassello della grande cultura napoletana da sempre esaltata da Muti. In copertina, infatti, c’è la «Crocifissione» di Masaccio, conservata a Capodimonte, frammento del grande polittico dipinto perla chiesa del Carmine di Pisa nel 1426. Una piccola tavola dipinta a tempera e dorata (83 centimetri per 63), con il Cristo sulla croce, a sinistra la Vergine vestita di blu, Maria Maddalena al centro e, a destra, San Giovanni Evangelista Così Masaccio e le «Sette ultime parole del nostro Redentore in croce» di Haydn, nel volume si fondono in un’unica realtà, tra divino e profano, suono e immagine.
«Trovare una correlazione tra la musica e il dipinto è stata un’esperienza illuminante», spiega il maestro presentando il libro e ricordando le sue tante esecuzioni del celebre brano di Haydn, tra cui quella con i Wiener Philharmoniker proprio sulla tomba del compositore, nella Bergkirche di Eisenstadt, in Austria. «Ma ogni volta che ho diretto “Le sette parole” o “Esclamazioni” a seconda delle traduzioni, ho avuto modo di cogliere il profondo linguaggio espressivo dell’autore nei vari momenti di sofferenza del Cristo, elementi dell’anima che si riscontrano in maniera geniale nel dipinto». «Invito ad andare a Capodimonte e a posare lo sguardo su questa piccola tavola che esprime meglio di altri il dramma non solo di Gesù ma di tutti quelli che gli sono intorno». Ecco dunque la Madonna, «quasi ferma nel suo dolore», «il pianto pieno di Giovanni» e la «passione irresistibile di Maria Maddalena che sembra irrompere all’improvviso nel dipinto con il suo manto dipinto di rosso, i capelli sciolti in una sensualità strepitosa e le braccia leva come a volere abbracciare il Cristo».
Nel 2017 Muti scelse la piccola tavola di Masaccio come sua opera preferita in occasione di una mostra allestita al museo intitolata «Carta bianca» e curata da Sylvain Bellenger, in cui illustri personaggi erano chiamati a scegliere «le loro opere preferite» tra i tanti capolavori esposti nell’antica reggia napoletana «La Maddalena sembra un direttore d’orchestra», disse all’epoca Muti a proposito della straordinaria musicalità di questo dipinto «capace di emanare una luce così intensa da ferire gli occhi e l’anima». Un ulteriore motivo di legame con Napoli dove Muti, che ha cancellato a causa della pandemia gli impegni americani con la Chicago Symphony, è atteso l’8, 10 e 11 novembre per tre concerti con l’orchestra del San Carlo. Sabato, invece sarà a Roma con la sua orchestra giovanile Cherubini, nel cortile d’onore del palazzo del Quirinale davanti al presidente Mattarella in occasione del «Concerto per Dante» nel settecentesimo anniversario della morte del poeta Sul palco anche il coro dell’Accademia di Santa Cecilia e il soprano casertano Rosa Feola. In locandina «Te Deum» di Haydn, «Ave verum corpus» di Mozart, «Laudi alla Vergine Maria» e «Ave Maria» dall’«Otello» di Verdi, e di Liszt «Les Préludes». Il concerto sarà trasmesso in diretta su Raiuno a partire dalle 18:45.
Donatella Longobardi, Il Mattino, 1 ottobre 2020
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