MERCADANTE: I due Figaro
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Disponibile
Made in Italy
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Descrizione
Riccardo Muti
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Philharmonia Chor Wien
Maestro del Coro: Walter Zeh
Fortepiano: Speranza Scappucci
Il Conte di Almaviva, Antonio Poli
La Contessa, Asude Karayavuz
Inez, Rosa Feola
Cherubino, Annalisa Stroppa
Figaro, Mario Cassi
Susanna, Eleonora Buratto
Torribio, Anicio Zorzi Giustiniani
Plagio, Omar Montanari
Durata totale: 2 ore e 46 minuti
Si tratta di un’esclusiva registrazione dell’opera di Saverio Mercadante, unicamente riscoperta e diretta da Riccardo Muti.
Rassegna stampa
IL CASO MERCADANTE
– di Giovanni Carli Ballola
A partire dagli anni Trenta del secolo XIX, la leggenda aurea dell’opera seria rossiniana incomincia a sapere d’acqua passata (da Parigi, dove finirà i suoi giorni, il perspicacissimo, maligno Bellini già lo aveva intuito).
Acque meno terse e sempre più vorticose vanno scorrendo attorno a quelle strutture drammaturgiche esemplate non già da modelli inaccessibili, quali l’atroce tragedia di Ermione o lo sterminato sconvolto Maometto II, ma dalla palladiana Semiramide, monumento epocale divenuto generalizzato oggetto di culto ed espressione di un “bello ideale” imperfettibile alla coscienza del musicista ordinario non meno della forma-sonata uscita dai laboratori viennesi. Non che tali strutture cessino di costituire i normali materiali di costruzione dell’edificio dell’opera italiana, ma vengono sottoposte alla pressione di energie allogene sempre più estranee. Sono un pathos ardente, una concitazione drammaticistica, una voglia di comunicazione espressiva intensa ed immediata che, non più paga d’innalzarsi con Rossini “al di là della natura comune di un mondo ideale” (parole del maestro che leggiamo nella preziosa conversazione con Antonio Zanolini pubblicata nel 1836), ambisce alla mimesi diretta dei moti d’animo.
Sempre più tesa e coinvolgente, sempre meno edonistica si fa allora la voce del melodramma, trascorrendo dal lirismo assoluto delle melodie “lunghe, lunghe, lunghe” (parole di Verdi) belliniane alla nervosa agitazione di Donizetti: due compositori che intorno a quegli anni cruciali contribuiscono in modo rapido alla rigenerazione dell’opera italiana, non senza un occhio vigile volto a quel teatro francese, sia di musica, sia di parola, che non tarderà a rivelarsi di tale trasformazione componente determinante.
Dopo una lunga anticamera trascorsa nel palazzo rossiniano a tirarne a lucido il mobilio con manieristica competenza, e un ancor più lungo indugiare in aree di gusto veterometastasiano (ancora tra il 1825 e il 1828 non disdegnerà di musicare un’Ipermetra, un Ezio, un Adriano in Siria, soggetti che il più giovane Bellini già rifiutava come “vecchi più di Noè”), Saverio Mercadante (Altamura, 1795 – Napoli, 1870) decide, buon ultimo, di adeguarsi alla nuova aria di rinnovamento che ormai si respira sulle grandi scene liriche, confortato dal successo di competitori quali gli autori di Norma e di Anna Bolena. I suoi precedenti teatrali si erano mossi entro i confini di un rossissimo temperato da una morbidezza cantabile ancora debitrice di un passato prossimo illustrato dagli esponenti di quell’area stilistica che la musicologia odierna ha denominato “neonapoletana” per il suo espandersi ben oltre la capitale del Regno, quale apprezzata merce di esportazione operistica diffusa in tutte le capitali d’Europa e di cui Paisiello e Cimarosa rappresentano gli emblematici capintesta.
Il mutamento di rotta del già affermato operista avviene non senza esplicite dichiarazioni programmatiche d’una perentorietà che invano cercheremmo negli altri compagni di cordata, e in un intenso travaglio compositivo documentato dal torturassimo autografo del giuramento (1837): opera capitale che trova riscontro teorico in quella riforma annunciata in una lettera a Francesco Florimo:
Variate le forme, bando alle cabalette triviali, esilio ai “crescendo”, tessitura corta, meno repliche, qualche novità nelle cadenze,
curata la parte drammatica, l’orchestra ricca senza coprire il canto, tolti i lunghi “a soli” nei pezzi concertati che obbligavano le altre
parti ad essere fredde a danno dell’azione, poca gran cassa e pochissima banda.
Lo si direbbe il manifesto antirossiniano di un neofita del nuovo corso imboccato in quegli stessi anni dall’opera italiana, regesto di una progettualità operativa che anche Bellini, Donizetti, Pacini avrebbero potuto in tutto o in parte sottoscrivere. Parole, cui, strada facendo, non sempre corrisponderanno i fatti in una produzione che tocca il culmine tra la fine degli anni Trenta e la prima metà dei Quaranta, gli stessi che segnano la fine della parabola donizettiana e l’inizio di quella verdiana. periodo di produzione ottimale che vede apparire, oltre al già menzionato giuramento (soggetto Hughiano che boito riprenderà nella gioconda), I normanni a Parigi, Elena da Feltre, I briganti (dal dramma di Schiller che Verdi rivisiterà nei Masnadieri), le due illustri rivali, Il reggente (apprezzabile precedente del ballo in maschera), la Vestale (ripensamento del dramma spontiniano aggiornato in chiave tragico pessimistica), Il bravo, forse il capolavoro del Nostro nella sua corrusca tinta meyerbeeriana, significativo dell’influsso esercitato ormai in dosi massicce dal teatro francese sul nostro melodramma.
In un panorama creativo comprendente una settantina di titoli, Il giuramento e il bravo, libretti di gaetano Rossi tratti rispettivamente da Angelo Tyran de Padoue di Hugo e da La Venitienne di Auguste Anicet-Bourgeois (Dramma ricavato a sua volta dal romanzo The Bravo di James Fenimore-Cooper: a questi nostri librettisti non mancavano le antenne dell’aggiornamento), si contendono a buon diritto il titolo di capolavori assoluti. Opere nelle quali la qualità egregia dei valori musicali è pari all’impegno drammatico tradotto in un’invenzione che per ricchezza, varietà, libertà, si impone sugli schemi di uso corrente nel melodramma coevo. Tali strutture portanti, di matrice inevitabilmente rossiniana, Mercadante elabora dall’interno in un ansioso spirito di ricerca attuato attraverso un capillare lavorio di semplificazione e di concentrazione: come dimostra la complessa e decisamente singolare introduzione del Giuramento, che congloba tre cavatine prive della regolamentare cabaletta e il soave quartetto “Vicino a chi s’adora”, il tutto collegato da sistematici interventi corali. Altrove, come nel rapinoso duetto di Elaisa e Viscardo “S’io l’amava! Sciagurata!” (III, 2), Mercadante svela per primo i deliri di una romantica voluttà di autoimmolazione che ritroveremo nel Donizetti della Favorita e nel Verdi di Rigoletto e del Trovatore.
I presagi verdiani s’intensificano nel Bravo, anche prescindendo dalla suggestione dell’argomento che offre diversi punti di contatto con quello del Rigoletto: richiami suggeriti da temi, ritmi, colori orchestrali, situazioni drammatiche che determinano quella che, nel suo plastico realismo, Verdi chiamava “tinta” e che qui è avvertibile in una vicenda circonfusa di un alone fatalistico di morte che fa tutt’uno con le tenebre notturne nelle quali prevalentemente è immersa.
Spagna e Portogallo che visitò Mercadante tra il 1826 e il 1828, mantenendovi anche in seguito due buone piazze ove collocare i suoi spartiti. Vi nasceranno I due Figaro, o sia il soggetto di una commedia, spiritata invenzione ripescata da un oblio assoluto e nella quale Felice Romani con estrosa faccia tosta manipolò un “dopo” Beaumarchais come (se l’audace raffronto ci è permesso) Goethe già aveva fatto inventandosi un “dopo” per la Zauberflote di Schikaneder e Mozart.
Di suo, Romani riproporrà la trovata pirandelliana e, già collaudata una dozzina di anni prima nel Turco in Italia, di un librettista in cerca di un soggetto d’opera via via desunto in progress dagli accadimenti scenici.
Bizzarra e inconsueta avventura comica , infiorettata fin dalla Sinfonia di spagnoleggianti ritmi di danza che accendono di colori insoliti un rossinismo che tu senti già entrato nella galleria a specchi deformanti delle mistificazione stilistica, nello spirito di un operettismo ant-litteram: come Il bravo starà a Verdi così I due Figaro stanno ad Offenbach. Il successo, incontrato a Parigi dai suoi compagni di viaggio, non arriderà a Mercadante: lo scarso esito dei Briganti (1836), un’opera peraltro non priva di pagine valide, lo convinse a desistere dall’avventura parigina, ambito, ineludibile vertice delle carriere di tutti gli operisti di fama europea, e a coltivare esclusivamente in patria la rinomanza ormai raggiunta. Con tutto ciò, non poté rimanere insensibile a quella ventata francese che dopo gli anni quaranta agita con crescente intensità le fronde dei giardini melodrammatici all’italiana.
Suggestioni dirette a tali modelli possiamo riscontrare nel finale terzo del bravo, dove il desolato canto cappella dei solisti, “Siete sposi”, commentato dal solitario compianto di un clarinetto e la stessa situazione drammatica -un assenso nuziale circonfuso di presagi funesti- richiamano un analogo del quinto atto di Les Huguenots; mentre la festa mascherata del Reggente rimanda a quella del Gustave III di Auber. Se nonché accanto a questi ed altri richiami di impronta indubbiamente progressiva, è avvertibile in modo particolare nelle opere composte dagli anni Quaranta in poi l’accentuarsi di un’enfasi quasi gestuale nel fraseggiare melodico, di una rumorosa spettacolarità, di un’opulenza orchestrale non comune alle scene italiane coeve.
L’opera seria, creatura delicata e piena di febbrili trasalimenti e cupi struggimenti lirici quale l’aveva lasciata Donizetti, o asciutta, nervosa e tagliata con l’accetta (di un far brusco parlerà il Basevi ) quale la voleva il giovane Verdi, in mano al Mercadante aumenta di peso e spessore, si fa monumentale e sonoramente oratoria, inducendo a pose da quadro storico.
Il recente recupero di Pelagio, l’opera che virtualmente conclude un percorso segnato da altri titoli notevoli quali Orazi e Curiazi, Medea, Virginia e l’opera semiseria Violetta, vale a chiarire più di un aspetto di una drammaturgia che chiameremo terminale, di problematica definizione. Divenuto praticamente il padrone del San Carlo, teatro che dopo le estreme impennate rossiniane e donizettiane cederà fatalmente lo scettro nazionale alla Scala, Mercadante vi instaura un suo stile che sa di apparente “ritorno all’ordine” nel recupero di soggetti classicheggianti confortati dalla sistematica riesumazione di alcune tra quelle strutture formali già programmaticamente aggredite nell’empito innovativo degli anni precedenti. Davvero fu quel che si dice un passo indietro? Esaminando da vicino tali pagine ci si avvede che tale non può affatto ritenersi un linguaggio armonico di peregrina ricercatezza, una scansione ritmica inquieta e talora bizzarra, un’orchestrazione magistrale e sorprendentemente aggiornata che rivestono quelle cabalette, quelle cadenze, quei concertati ormai in ritardo sui tempi, di un colorito inedito, quasi vetusti elementi architettonici ricollocati – talora non senza una certa spregiudicata forzatura- in contesti moderni. Ciò che può spiegarle o specifico della personalità di questo singolare artista e insieme la sua sfortuna storica: secondo un memorabile aforisma di Giorgio Vigolo, “come vi sono poeti per poeti, vi sono musicisti per musicisti”, e a questi ultimi Mercadante si direbbe a buon diritto appartenga.
Nessuno inoltre tra i professionisti del melodramma italiano ottocentesco fu, al pari di Mercadante, fecondo e assiduo cultore del genere strumentale, sinfonico e cameristico.
Il suo lascito in tale campo, più e più volte investigato dagli studiosi, è tuttora lungi dall’essere noto nella sua anche approssimativa completezza. Sensibile alle più disparate sollecitazioni non meno occasionali che ideali egli attese alla composizione di innumerevoli lavori in un ventaglio di organici che vanno dalla grande orchestra ai due o tre strumenti solistici attraverso la sinfonia, la fantasia, la variazione, il pezzo caratteristico, il complesso cameristico con più strumenti; e vi attese senza sensibili pause dagli anni dell’apprendistato al Conservatorio fino agli ultimi mesi di vita. Va da sé che la parte più cospicua di tali musiche si accumuli proprio in questi due capi estremi della sua parabola artistica quando l’esordiente mastricello non era ancora, e l’anziano e cieco direttore del Conservatorio napoletano, nonché ossequiato patriarca della vita musicale partenopea, non era più catturato dal vortice del assillante sistema produttivo del melodramma.
L’evoluzione stilistica del operista di fama (che per sommi capi sì cercato più sopra di illustrare) e l’ampliamento dei suoi orizzonti culturali vanno di pari passo con i sensibili mutamenti di rotta riscontrabili nelle sue pagine strumentali: alla cui riproposta odierna si richiedono oculate scelte, ad evitare inciampi qualitativi ripetitivi che non mancano, in tanta mole di pagine per lo più occasionali quando non opportunistiche, da parte di un compositore che gratificò di omaggi musicali Pio IX e Garibaldi, Francesco II e Vittorio Emanuele II.
I pregevoli concerti di clarinetto e orchestra risalga dagli anni dieci del secolo e sono opera di un giovane mercadante condiscepolo e amico di virtuosi strumentisti. Il gusto del Biedermeier non poteva non avere lambito con le sue facili seduzioni la capitale borbonica, dove (come ha dimostrato Francesco Degrada) anche a settecento inoltrato non erano mancati cultori del genere strumentale. E’ l’effimero impero di Occidente di una cultura strumentale che (nonostante gli esuli Cherubini e Spontini col loro linguaggio che oggi si direbbe d’avanguardia) ristagna spesso in un manierismo datato e rassicurante: lo stesso che alligna in quei motivi cantabili e ben torniti le buone maniere di un neoclassicismo internazionale che sta al classicismo della triade viennese come il greco di Euripide o Aristofane a quello dei dirigenti letterati alessandrini.
E qui sta il nocciolo del caso Mercadante. La cui produzione ottimale oltre, a non rivelare di titoli in titolo sostanziali mutamenti in senso stilisticamente progressivo, non offre per lo più delle sue singole realizzazioni quell’unicità drammatica, quel sentire l’evento artistico come realtà unitaria e dotata di caratteri specifici, in breve, quell’unicum che costituisce la singolarità di quanto usciva e uscirà -statura artistica parte- dalla mente di Verdi e di Puccini, di Wagner e di Richards Strauss. Nonostante il suo linguaggio d’inequivocabile aggiornamento, la puntigliosa intenzionalità drammaturgica attuata mediante sagaci e spesso sorprendenti interventi all’interno delle forme tradizionali, sulla produzione del Nostro si direbbe che incomba ancora (ma non sempre come dimostra la “tinta” conferita a non pochi episodi delle opere sopra ricordate) il fantasma della classicista opera seria, col suo oggettivismo strutturale l’espressione esatta ma generica tipica delle varie situazioni drammatiche e psicologiche, ridotte ad affetti trasportabili senza danno da una scena all’altra, se non dall’opera all’altra. Una dimensione melodrammatica nella quale le ragioni di una musica oggettivamente formalizzata, nobile e bella sempre, e in quanto tale fruibile, prevalgono sui valori drammatici come mai ormai li intendeva l’operista moderno, e che Mercadante ancora intende come repertorio di gesti e di affetti da risolvere in una puntuale ma generica mimesi musicale.
Va da sé che Mercadante si studiasse di conservare ai propri melodrammi tutto quel Prisco decoro, quell’aulica pompa festiva, quel “buon sentire” raccomandato – vedi un po’ – da Alessandro Scarlatti, pater elettivo di quella mitica Scuola napoletana alla quale il nostro anche come didatta il direttore del Conservatorio si pregiò sempre di appartenere. Sono, ripetiamo, le qualità di un’elaborazione armonica sottile e spesso ricercata; di una veste orchestrale raffinata e ricca di spunti peregrini, ammirata, fra i molti, da un giudice come Liszt; di una temperie inventiva di qualità elevata e ottima tenuta media; l’evidente compiacimento per la bella pagina e quel sentore di dottrina che la cultura accademica e il gusto dell’intenditore non mancheranno mai dal riconoscergli. Componenti estetiche intimamente conservatrici, cui fa da ambiguo contrasto l’impiego di un lessico di franca modernità, valgono a porre in dubbio l’abusata etichetta di “precursore verdiano” delineando una più plausibile immagine di Mercadante: quella dell’estremo evocatore, sul limitare del “vero inventato” di Verdi, dell’antica favola melodrammatica segnata fatalmente dal “bello ideale” rossiniano, i cui postulati estetici l’autore del Giuramento, del Bravo, degli Orazi e Curiazi porterà al massimo sviluppo possibile e alle ultime conseguenze storiche.
Sinossi:
Atto primo
Nel castello del Conte d’Almaviva si attende il ritorno della Contessa e di sua figlia Inez. Torriglia spera che vada in porto il piano di Figaro il servitore del Conte: sotto il nome di don Alvaro ottenere risposta Inez, cedendo in cambio Figaro la metà della dote. Plagio, invece, si aspetta che Figaro gli fornisca l’argomento per una nuova commedia. Ammirato da tutti, Figaro è fiducioso che i suoi intrighi avranno successo e, senza far nomi, illustra a Plagio la trama che ha ordito, indicandola come il soggetto ideale per una commedia.
Alcune lettere false hanno convinto il conte che don Alvaro, riferisce della sua eccesiva generosità. Il Conte è definitivamente convinto: le nozze si terranno il giorno stesso.
Mentre Susanna si compiace di essere sempre riuscita, grazie la propria astuzia, ad avere la meglio sui suoi spasimanti, sul conte e su suo marito Figaro, arrivano la Contessa e la figlia che vengono salutate gioiosamente dai servitori e dai contadini. Tuttavia la minaccia del matrimonio forzato con don Alvaro le induce ordire, insieme a Susanna e con l’aiuto di cherubino, l’innamorato di Inez, una trama in difesa della giovane.
Figaro finge di essere dalla parte di Inez, opponendosi all’ordine del Conte di chiamare subito un notaio.
Riconocsiuto unicamente dalle donne, Cherubino, spacciandosi per il proprio servitore, si presenta con una lettera di raccomandazione che egli stesso – colonnello Cherubino – ha firmato. Il conte è disposto a prendere al proprio servizio lo sconosciuto che, nella sorpresa generale, dichiara di chiamarsi “Figaro”. A differenza delle donne, il vero Figaro non prova alcuna simpatia per il nuovo collega, ritenendolo anzi un usurpatore.
Inez avverte Cherubino di guardarsi dall’astuzia di Figaro. Troppo tardi i due innamorati si accorgono che Figaro li ha spiati. Ma quando il conte avvisato dal servitore, si avvicina di nascosto per sorprenderli in flagrante, i due iniziano a recitare la propria parte: Cherubino ammonisce Inez affinché ubbidisca alla volontà paterna. Il conte quindi si adira con Figaro perché questi ha denigrato il nuovo servitore e minaccia di licenziarlo. Ma è Cherubino stesso a intercedere per lui. Mentre il conte promette al nuovo servitore che sarà il solo a perché del suo favore, Figaro merita come vendicarsi dell’umiliazione subita.
Figaro è convinto che Susanna sia in combutta con l’altro Figaro. Intanto, Plagio lo supplica di continuare ad essere fonte di ispirazione per la sua commedia e, in tal modo, lo porta a pensare che il suo nuovo rivale potrebbe essere l’amante della figlia del Conte. Figaro allora decide di avvisare immediatamente il proprio padrone. La Contessa al contrario, spera di riuscire a far sposare Inez con l’uomo che ama, anche contro la volontà del Conte.
Inez e Susanna si incontrano nel giardino del castello, dove attendono di essere raggiunte da Cherubino. Dopo che Figaro ha rivelato al Conte i suoi sospetti, i due sono decisi a cogliere in flagrante Cherubino e lo sorprendono mentre trama con Susanna. Chiamano in soccorso i servitori e i contadini, mentre sopraggiungono anche la Contessa, Inez e Plagio. Il Conta ordina di arrestare Cherubino.
Ma, inaspettatamente, questi finge di spasimare per Susanna e implora indulgenza per il proprio amore.
Susanna lo asseconda nella finzione.
Figaro è sconcertato e fuori di sé dalla gelosia e dalla rabbia. Il Conte, la Contessa e Inez gli consigliano di perdonare Susanna, mentre tutti gli astanti si burlano di lui. Per evitare pettegolezzi. Figaro si mostra conciliante.
Atto secondo
I contadini proibiscono alle ragazze di parlare ancora di quanto è appena accaduto nel castello. Plagio è ancora alla ricerca di un proseguimento per la sua commedia e insiste nel voler sapere come sia stato possibile smascherare lo spasimante. I contadini lo dichiarano pazzo e fuggono rapidamente.
Susanna si vedere ora alla mercé dello schermo popolare, tuttavia è fiduciosa che i suoi sforzi andranno a buon fine. Figaro è convinto di sapere cosa Susanna abbia in mente e pretende che gli riveli il vero nome del secondo Figaro. Lei però riesce a sottrarsi al marito, anche grazie a Plagio, che giunge proprio in quel momento. L’atteggiamento scostante di Figaro viene interpretato da Plagio come segno del tipico rapporto tra cui poeta e mecenate. Susanna riceve la sostanza Inez e Cherubino: la giovane teme che non sarà più possibile evitare le nozze con Don Alvaro. Figaro intanto cerca di entrare, ma trova la porta chiusa a chiave, chiede spiegazioni a Susanna nasconde così Inez e Cherubino in due armadi.
Figaro vuole prendere il suo mantello proprio da uno di quegli armadi, quindi Susanna cerca di distrarlo.
Giungono la Contessa e il Conte: questi, indispettito per aver trovato le stanze della figlia chiuse a chiave, chiede spiegazione a Susanna. Figaro scopre Cherubino e Inez negli armadi, rendendo evidente il tradimento nei confronti del Conte. Cherubino si giustifica dicendo di aver voluto ostacolare gli intrighi di Figaro e salvare Inez, ma ciò provoca l’ira del Conte, che bandisce Cherubino e Susanna dal castello.
Figaro è nuovamente rientrato nelle grazie del conte e gli è oltretutto grato perchè gli ha levato di torno Susanna.
Inez piange la perdita dell’amato.
Il Conte si pente di aver scacciato, così su due piedi, Susanna. Questa sopraggiunge e finge di essere addolorata per dover dire addio all’amato padrone. Il Conte allora si intenerisce fino a perdonarla. Cherubino intanto si strugge per la lontananza di Inez : la sua infelicità suscita la compassione dei contadini. Avendo scoperto che si stanno recando al castello per assistere alle nozze, Cherubino decide di lottare per la sua amata. Il Conte accoglie Don Alvaro il cui aspetto provoca lo sconcerto di Inez. Mentre Plagio riverisce il Conte offrendogli la sua nuova commedia, Cherubino riconosce in don Alvaro il suo antico servitore Torribio; svela così al Conte anche la propria identità e scopre l’inganno di Figaro. Il Conte scaccia Figaro dal Castello ma poi cedendo alle preghiere di Susanna finisce per dimostrarsi clemente verso il proprio servitore. Mentre Cherubino e Inez ottengono, infine, il permesso di sposarsi.
PANORAMA
– di Nazzareno Carusi
Ero in platea, prima fila a destra del Teatro Alighieri di Ravenna, il 24 e 26 giugno del Festival 2011 quando venne rappresentata quest’opera di Saverio Mercadante, compositore di nascita pugliese e vita napoletana (1795-1870) che metterebbe in riga un po’ degli operisti stranieri a lui coevi, se solo sapessimo illuminare le nostre glorie nazionali come l’unico Muti pare (quasi eroicamente) sapere e voler fare.
Il 28 successivo ne scrissi su Libero: “Muti è artista per musicisti, poeti, filosofi, amanti puri d’ogni bello e popolani. Infatti l’altra sera ha trascinato tutti nel mare virtuosissimo dei due atti del genio di Altamura, napoletano di studi, d’adozione e direzione per trent’anni del Conservatorio, sgranando onde ingegnosissime di note tanto spericolate che se non nelle sue mani rischiavano il collasso. Il ritmo pulsava come un cuore, che sembra sempre uguale solo ai sordi; l’insieme era lunare; morbidissimi i cantabili e sensuali, inframezzati da recitativi con i protagonisti che andavano da soli sulle note del fortepiano di Speranza Scappucci, eccezionale: un suono così voluttuoso e antico insieme da sembrar d’una modernità quasi elettronica tant’era irreale e rapinoso. Infine, danze scatenate e fantastici pizzicati”.
L’ascolto di questa registrazione, prodotta dalla Riccardo Muti Music (www.riccardomutimusic.com ) e pubblicata dalla Ducale, già in testa a molte classifiche di classica mondiali, conferma tutto. A cominciare dallo stato di grazia dei giovani professori della Cherubini, l’Orchestra che il Maestro più maestro di noialtri ha fondato per dare l’occasione della vita ai migliori ragazzi musicisti d’Italia, tutti alla prima esperienza di rilievo così grande. In un tempo che vede gli ensembles personali nascere purché abbiano a prime parti quegli artistoni pretesi dai fondatori per pararsi il nome da eventuali sbrocchi d’inesperienza, è un gesto d’amore generoso e unico per l’arte e per la gioventù.
Nazzareno Carusi, Panorama
OperaToday.com
– Joseph Newsome | 4 giugno 2013
Saverio Mercadante: I due Figaro
Though 2013 is the bicentennial of the births of Giuseppe Verdi and Richard Wagner, the releases of Cecilia Bartoli’s recording of Bellini’s Norma on DECCA, a new studio recording of Donizetti’s Caterina Cornaro from Opera Rara, and this première recording of Saverio Mercadante’s forgotten I due Figaro, suggest that this is the start of a summer of bel canto.
Mercadante is as celebrated in the 21st Century as neither Verdi nor Wagner, but his contributions to the development of Italian opera in the mid-19th Century were appreciated by a critic as discriminating as Franz Liszt. Rossini recognized Mercadante’s musical talents early in the younger composer’s career despite remaining unconvinced of his abilities for effective dramatic characterization. It was to Mercadante that preparation of the first performance of Caterina Cornaro was entrusted due to Donizetti’s illness, and it was also Mercadante to whose expertise Verdi appealed for casting of his Macbeth. It is also known that Mercadante conspired to have Verdi’s Il trovatore suppressed by the Italian censors at the time of its première, however. All of this provides some idea of the complexities and ambiguities of Mercadante and his career: perhaps more than any other composer of his generation, he gradually moved away from the musical example of Rossini, directly influencing Bellini and Donizetti and providing the foundation upon which Verdi built his first masterpieces. Mercadante’s operas Il bravo, Elena da Feltre, Il giuramento, Orazi e Curiazi, and Virginia were all extremely successful during the composer’s lifetime, and Mercadante was almost unfailingly admired and respected as a musician even when he was disliked as a man. Composed in 1826 but not premièred until 1835, I due Figaro is an opera buffa with a libretto by Felice Romani, the master librettist of bel canto, that explores territory familiar from Rossini’s Il barbiere di Siviglia and Mozart’s Le nozze di Figaro, but Romani’s source material was a play by French actor and author Honoré Richard Martelly rather than Beaumarchais’s plays. A sequel to the plots set by Rossini and Mozart, Mercadante’s opera finds the long-suffering Contessa d’Almaviva rearing a daughter and Figaro, Rossini’s unflappable factotum, dealing with the arrival of a second, rather suspicious Figaro at the court of Conte d’Almaviva. Romani could be relied upon to provide poetry of high quality even when the circumstances of a libretto’s creation were less than ideal, and there are in his libretto forI due Figaro many passages that show Romani at his best. Like all of the few of Mercadante’s operas that have appeared on records, I due Figaro has many fine things in its favor, not the least of which are several arias and ensembles that remind the listener that Mercadante was far more gifted than most of the second-rank bel canto composers with whom he is usually grouped.
Musically, the score of I due Figaro could be said to represent a very tidy summary of Mercadante’s accomplishments as a composer. Perhaps expectedly for an opera in which Figaro and his Barbiere di Siviglia comrades are found, there are pages in I due Figaro that could virtually have been ripped out of several of Rossini’s opera buffa scores. Mercadante was viewed by 19th-Century observers as the composer who, coming to a crossroads in the development of Italian opera, significantly facilitated the transition of vocal music from the style of Rossini to the more overtly dramatic bel canto employed by Bellini, Donizetti, and the young Verdi. Especially in Mercadante’s music for Susanna, there are coloratura passages that would not sound out of place in Rossini’s Ermione or Zelmira, but there are notable scenes—particularly the extended scene for Cherubino in Act Two, ‘Già per le vie del cielo’—in which the Donizetti of Anna Bolena and the Verdi of Ernani are stylistically close at hand. Dramatically, Romani and Mercadante echo a theme explored in Rossini’s Il Turco in Italia, that of the cast including a writer seeking inspiration from the characters and their situations, a sort of operatic paparazzo. All of the usual suspects from Mozart and Rossini turn up: the Conte and Contessa d’Almaviva, now the feuding parents of a daughter of marriageable age, Inez; Figaro and Susanna, still married but no longer the wily but endearingly devoted couple they were in Le nozze di Figaro; and Cherubino, grown into an apparently decorated Colonel and now pining for the daughter, Inez, rather than the mother, the Contessa, while in disguise as the second Figaro. New to the party in I due Figaro are Plagio, the visiting writer, and Cherubino’s former servent Torribio, who has designs on wooing Inez while posing as the nobleman Don Alvaro. It is an ambitious synthesis of Mozart and Rossini—and of the dramas of Lorenzo da Ponte and Cesare Sterbini, respective librettists of Le nozze di Figaro and Il barbiere di Siviglia—in which Mercadante seeks to combine the frisson of Rossinian opera buffa with innovative musical progress in the employment of the conventional bel canto aria and cabaletta. Composed during Mercadante’s tenure in Madrid, I due Figaro contains many musical nods to the musical traditions of his host country, both in the use of Spanish dance rhythms such as the characteristic bolero and in the inclusion of adapted folksongs. It was a fit of jealousy by the opera’s intended prima donna, Letizia Cortesi, that prohibited performance of I due Figaro until 1835: having intended for the opera to be performed as a benefit for her own financial upkeep, Signora Cortesi—a respected (both for her singing and for her socially-advantageous liaisons, no doubt) artist who took part in the first performance of Cimarosa’s revised version of Il matrimonio segreto—was none too impressed when she discovered that Mercadante had pipped her to the post by having made the same arrangement for himself. When the opera was eventually premièred, it won favor with both critics and audiences, but its success was short-lived: prior to the production recorded by Ducale at the 2011 Ravenna Festival, Mercadante’s score had been residing, forgotten, in Madrid’s Biblioteca Municipal for nearly two centuries. I due Figaro proves to be an opera well worth hearing (and, benefiting from Maestro Muti’s rediscovery, it indeed has been heard at Salzburg, Madrid’s Teatro Real, and Buenos Aires’s Teatro Colón), Mercadante’s musical gestures shaping the drama effectively and his middle-of-the-road bel canto instincts creating moments of great musical distinction. The spirits of Rossini, Bellini, Donizetti, and Verdi are all audibly present in Mercadante’s score, and if there is any failure it is that the opera, treading on such exalted ground, does not reach the levels of inspiration and expressive humanity shown by Mozart in Le nozze di Figaro.
The results achieved by recording live performances can vary from excellent to abysmal. Recording two performances at the Teatro Alighieri in Ravenna in June 2011, Ducale’s sound engineer, Elfride Foroni, and BH audio S.r.l. produced a fine recording with excellent balance, a delightful sense of stage action, and an impressive avoidance of stage and audience noises, even during secco recitatives. Singers audibly move about the stage without ever losing sonic presence, and the chorus and orchestra enjoy prominence but never overwhelm the singers. The choristers of the Philharmonia Chor Wien, a relatively new ensemble founded in 2002, sing with gusto and great musicality. Individual voices occasionally emerge from the choral blend, but whereas this might be undesirable in choral repertory it adds to the sense of credibility in this performance, in which servants and villagers take such important parts in the drama. The instrumentalists of the Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, founded by Maestro Muti in 2004, play with brilliance that belies their youth, intonation generally sure and timbres carefully blended, surely benefiting from work with Maestro Muti. Very impressive is the solo horn playing in Cherubino’s scena in Act Two. His espousal at La Scala and elsewhere of the music of Cimarosa and Cherubini notwithstanding, Riccardo Muti does not spring to mind as an advocate for overlooked bel canto composers, even those from his native Naples. Indeed, it might seem rather bizarre that a conductor’s discography would be expanded in a single year by releases of recordings of operas as different as Mercadante’s I due Figaro and Verdi’s Otello (recorded in concert for release on the Chicago Symphony’s house label), but the integrity of Maestro Muti’s curiosity, intelligence, and pursuit of musical excellence is never in doubt. Perhaps the most surprising element of this recording is the seemingly instinctive faculty for bel canto with which Maestro Muti conducts the performance. The committed propulsion with which he conducts later repertory is well known, but the unforced grace evident in every bar of this recording of I due Figaro is remarkable. Tempi are consistently appropriate to the music, Maestro Muti’s formidable exactitude of rhythm producing accurate but wonderfully animated renderings of frothy ensembles but also allowing expansiveness of line in cantilena passages. In those pages that mimic Rossini at his buffo best, Maestro Muti’s approach is founded upon an understanding of the construction of a Rossinian scena. Those pages that exemplify the dramatic bel canto of Bellini, Donizetti, and Verdi find Maestro Muti drawing upon a richly idiomatic experience in Italian music of the 19th Century. In short, Maestro Muti proves himself to be an ideal conductor of the uniquely ‘hybridized’ music of Mercadante.
Owing both to the inventiveness of Romani’s poetry and to the cleverness of Mercadante’s music, all of the characters in I due Figaro are deftly delineated. Plagio, the visiting writer whose name means ‘plagiarism’ in Spanish, is an obvious cousin of Prosdocimo, the poet in Rossini’s Il Turco in Italia, the libretto of which was also written by Romani. Sung in this performance by Italian baritone Omar Montanari, Plagio weaves in and out of the drama in I due Figaro with the unfettered enthusiasm of an eager journalist. The villagers in the insular community of the Almaviva castle are suspicious of his motives, however, and they amusingly taunt him in his scene at the beginning of Act Two. Mr. Montanari sings handsomely throughout the performance, Plagio’s cajoling of the characters for information about their situations and inspiration for his next play drawing from him singing of great wit. Plagio instructs himself at the beginning of Act Two to ‘agguzza orechhio e mente’—sharpen his ears and his wits: Mr. Montanari might have set for himself the same goal, and his unfailingly fine, subtle singing achieves that goal capitally.
Torribio, Cherubino’s former servant who disguises himself as the noble Don Alvaro in an effort to capitalize on his part in a plot by Figaro to pass him off as a suitable husband for Inez, the daughter—and heiress, of course—of the Conte and Contessa d’Almaviva, is sung by Italian tenor Anicio Zorzi Giustiniani, a veteran of several of Alan Curtis’s acclaimed productions and recordings of Händel operas. The vocal technique and quicksilver dramatic instincts that have proved so successful in Händel repertory likewise serve Mr. Giustiniani well in I due Figaro. Not completely sinister but also far from innocent, Torribio is an oily figure who is not without charm. Mr. Giustiniani is a superb singer who deserves larger assignments, but his singing in this performance is fantastic. The voice is a light one, handled with mastery of its capabilities by its owner, and as ever Mr. Giustiniani provides a veritable masterclass in the art of acting through the voice. Torribio may be Figaro’s intended ticket to enjoying half of Inez’s dowry, but he is no one’s fool. Still, he is somewhat taken short when all of Figaro’s plans unravel and the deception is revealed in all of its convoluted detail to the Conte by Cherubino. Mr. Giustianini expresses all of Torribio’s mental responses to his misadventures with splendid comedic timing, and the most strenuous of Mercadante’s demands do not scratch the surface of the vocal feats of which Mr. Giustianini is capable.
Italian baritone Mario Cassi sings Figaro, who seems to have lost much of his charm in the years since the inception of his service to Conte d’Almaviva in Il barbiere di Siviglia and his marriage to Susanna in Le nozze di Figaro. Mercadante’s Figaro is more priggish than either Mozart’s or Rossini’s, and—not unexpectedly, considering his basic psychiatric profile—his relationship with Susanna seems to have soured, at least in part. The jingle of coins has lost no ground in Figaro’s affections, however, and the joie de vivre with which Mr. Cassi enters into Figaro’s plotting and ribaldry is infectious. The high spirits of Mr. Cassi’s performance confirms the suspicion that Figaro is merely a single-minded opportunist rather than a genuinely nasty fellow. While suggesting that he would prove a lovable Figaro in Il barbiere di Siviglia, Mr. Cassi does what he can with Mercadante’s less cuddly Figaro. The slightly knurly quality of Mr. Cassi’s voice, allied with the unrelenting machismo of his dramatic instincts, creates a compelling character, this Figaro relishing his manipulations of every situation in which he finds himself and sputtering in frustration when his labyrinthine machinations hurl him headlong into impregnable walls. Mr. Cassi sings with technical prowess, perhaps most engagingly so in the Terzetto with Susanna and Plagio, ‘In quegl’occhi.’ Throughout the performance, Mr. Cassi brings affability to his singing, making Figaro’s exasperation at the appearance of a second, surely fraudulent Figaro amusingly palpable. His contributions to the Sestetto, ‘Un momento,’ are delightful, and the light-hearted duplicity with which he plots with Torribio and baits Plagio is genuinely funny without being over the top. Musically, Mercadante’s Figaro enjoys fewer opportunities to shine individually than Mozart’s or Rossini’s incarnations of the character, but Mr. Cassi takes advantage of every phrase, coloring his voice convincingly to convey a wide array of emotions, both public and private.
As in Il barbiere di Siviglia, Conte d’Almaviva is a tenor rôle, and Antonio Poli sings the part with assurance. The Conte’s cavatina ‘Che mai giova’ is one of the musical high points of Mercadante’s score, and Mr. Poli sings it very well, his technique tested but never broken by Mercadante’s music. Throughout the opera, Mr. Poli’s pointed diction is effective as a dramatic device of its own accord, his exchanges with all of the other characters convincingly conveyed through verbal inflections. Mr. Poli shades his voice accordingly, complementing his dramatic instincts with an impressive command of vocal means. Slight hints of pushing in the upper register are worrying in so young a singer, especially one whose future engagements include high-profile outings as Mozart’s Don Ottavio in London and Chicago, but the quality of tone that Mr. Poli produces in this performance suggests that his voice is beautifully suited to lighter lyric rôles. The quieting of this Conte’s anger in the final scene is neither as eloquent nor as believable as is the capitulation of the Conte in Le nozze di Figaro, but Mr. Poli sings his final lines with great irony: Mercadante’s Conte, rather than beseeching his wife’s forgiveness, merely admits defeat and begrudgingly accepts the obvious twists of fate: ‘Per far dispetto a Figaro, siate anche voi contenti,’ he sings to his daughter and Cherubino—‘you will be happy, too, just to annoy Figaro.’ The cool timbre of Mr. Poli’s voice lends his singing a certain aristocratic remoteness, but he enters into the spirit of the comedy with tenacity.
Italian mezzo-soprano Annalisa Stroppa takes the travesti rôle of Cherubino, his courting skills as powerful but tactless in I due Figaro as in Le nozze di Figaro. Ms. Stroppa’s timbre is dark and slightly unyielding, the basic sound of the voice rather than any particular interpretive choices on the singer’s part offering a suggestion of masculinity. Ms. Stroppa is more convincing when Cherubino is on conspiratorial form than in music of love or loss, but she saves her best singing for her challenging aria in Act Two. This is perhaps the most strangely ambiguous scene in the opera, the dramatic situation—villagers returning at dusk from their daily labors cross paths with the despondent Cherubino and think him mad—echoing the celebrated ‘Miserere’ in Verdi’s Trovatore but the music adhering more conventionally to Rossinian formulae than almost any other in the score. As is customary in most of Maestro Muti’s efforts, this is essentially a come scritto reading of Mercadante’s score, with interpolated top notes avoided. Ms. Stroppa’s upper register faces rough use in Cherubino’s aria nonetheless, but she ascends to her highest notes with cautious security. Rossinian coloratura does not sound as though it is completely natural territory for Ms. Stroppa, but the overall excellence of the results that she achieves in bravura passages is all the more impressive for this. She is at her best in ensembles, when her fiery singing depicts the impetuous young Colonel to the life.
The Contessa—Rossini’s Rosina—is sung by Turkish mezzo-soprano Asude Karayavuz, an exciting presence whose timbre exudes confident nobility. In the Contessa’s aria, ‘Prender che val marito,’ its structure not unlike that of the Contessa’s magnificent ‘Dove sono i bei momenti’ in Le nozze di Figaro, Ms. Karayavuz sings with great feeling, her expression of hope for her daughter’s marital bliss reminding the listener of the character’s sentiments of defiant love in Il barbiere di Siviglia and wistful longing for the passion of that defiance in Le nozze di Figaro. Ms. Karayavuz sings strongly from start to finish, adding distinction to every ensemble in which she sings. No longer a victim of circumstance or an unfailingly magnanimous figure, the Contessa in I due Figaro proves to be a wily conniver in her own right, pursuing her own agenda with dogged sense of purpose. That the Contessa is ultimately such a likeable character in this performance is to Ms. Karayavuz’s credit. There are moments of vocal discomfort in Ms. Karayavuz’s performance, but she puts these to dramatic use. A capable singer with a good technique, Ms. Karayavuz is a sweet but never saccharine Contessa, her indignities suffered with good humor but avenged with vindicating fun.
Inez, the daughter of the Conte and Contessa, is the source of the dramatic careening in I due Figaro. Betrothed in absentia by her father to a man she has never met, the allegedly noble Don Alvaro, Inez is actually in love with Cherubino. Every character in the opera is in some way great or small directly affected by Inez’s predicament, so a fascinating singer is required in the rôle if the opera is to be even remotely interesting. Italian soprano Rosa Feola, a former pupil of Renata Scotto, has something of her teacher’s burning drive as a performer. Though her voice is a full lyric soprano of beauty and grace, she tears through this performance of I due Figaro like a woman possessed. Inez’s mission is to marry the man she loves, whether with her father’s consent or despite his withholding of it, and Ms. Feola conveys Inez’s devotion to Cherubino with conviction. In her solo scene, ‘Oh! Come in un momento,’ bewitchingly sung by Ms. Feola, Inez expresses perhaps the most heartfelt sentiments in the opera, with Mercadante’s music at its best. Ms. Feola is an appreciated interpreter of Adina in Donizetti’s L’Elisir d’Amore(another Romani creation), and Inez is an appropriate companion to Adina in her repertory: musically related, both ladies also encounter similar amorous situations, being pursued by one man who is essentially a pompous poser and another—her true beloved—who is sincere but something of a sap. The beauty of Ms. Feola’s singing when she sings of or to Cherubino—in music that is often not unlike that with which Servilia sings of Annio in Mozart’s La clemenza di Tito—leaves no doubt of which suitor has won Inez’s heart. Like several of her colleagues, Ms. Feola is particularly charismatic in ensembles, voicing her lines with ardor. All things considered, Ms. Feola is a thoroughly suitable center of attention for I due Figaro, her Inez proving a thoughtful and musically winning creation.
It was for his greedily vindictive would-be prima donna, la Cortesi, that the rôle of Susanna was written, and both her prominence in the drama and the quality of her music make it apparent that Mercadante was dealing with a lyric coloratura soprano he felt obliged to please. Italian soprano Eleonora Buratto sings the part stylishly. Having studied with both Mirella Freni—whose bel canto performances are unaccountably neglected in assessments of her legacy—and Luciano Pavarotti, Ms. Buratto brings to I due Figaro impressive credentials, including performances of Mozart’s Susanna. Not surprisingly considering the circumstances of the genesis of I due Figaro, Susanna has the opera’s most celebrated aria, the bolero ‘Colle dame più brillanti,’ which is sung with vivacity and technical aplomb by Ms. Buratto. Even Susanna shines most brightly in ensembles, though, and the vocal freedom with which Ms. Buratto voices the top lines in ensembles is refreshing. It could be argued that Susanna, as in Le nozze di Figaro, is the only character who, though threatened, is in complete command of her destiny, and the music that Mercadante composed for her has an immediacy—an authentically Spanish quality of sauciness, so to speak—that music for the other characters lacks. Ms. Buratto’s well-schooled technique enables her to focus on details of characterization, and she combines intelligent musical choices with dramatic attitudes that aptly convey Susanna’s moods. If Inez is the spine that supports I due Figaro, Susanna is the opera’s heart, and Ms. Buratto knows this: her expressivity is both individual and responsive to the singing of her colleagues. Difficulties in Mercadante’s score little trouble Ms. Buratto, and the beauty of her singing distinguishes her in an unusually consistent cast.
One challenge of this recording is born of the performance featuring a cast of such young singers: identification in ensembles of which voices are the older characters and which are the younger ones can be difficult. This is a small price to pay for vocal freshness across the board, however, and these young singers do their all to make their lines discernible and their characters three-dimensional. It cannot be denied that, despite his achievements as a musical and dramatic innovator, Mercadante is not a composer who can be regarded as an equal of Mozart, Rossini, or Donizetti. It is unfair to describe him merely as a gifted craftsman, too: hearing I due Figaro brings to mind Richard Strauss’s anecdote about being a first-rate second-tier composer. I due Figaro is not comparable to a masterwork by Verdi or Wagner, but Maestro Muti presides in this performance over a cast of a quality that can hardly be encountered in performances of Verdi’s and Wagner’s opera in any of the world’s better opera houses today. This fetching recording confirms anew that, when performed with zest, a forgotten opera can be very memorable.
Joseph Newsome, OperaToday.com, 4 giugno 2013
A brazen scheme to win the daughter of a count
– Zachary Woolfe | 19 ottobre 2011
The great maestro Riccardo Muti is like the butterfly in chaos theory: when he beats his baton in Europe, an opera gets performed throughout the world. In 1999 Mr. Muti revived Giovanni Paisiello’s long-neglected “Nina.” The next thing you know it has two DVD recordings and is being put on at American conservatories. Saverio Mercadante’s “Due Figaro” (“The Two Figaros”) hadn’t been performed since its first run in 1835; then Mr. Muti brought it back inSalzburg, Austria, in June. Once again the opera world has listened to him, and on Tuesday the work was given its American premiere at the Connelly Theater by the hard-working Amore Opera. Based on an obscure French sequel to the Beaumarchais play cycle that inspired Mozart’s “Nozze di Figaro” and Rossini’s “Barbiere di Siviglia,” “I Due Figaro” imagines the familiar characters a decade or so post-“Nozze.” Cherubino is now a young gentleman in love with the Almavivas’ daughter, Inez; Figaro and Susanna are at each other’s throats; the Count and Countess have traveled even further down the road to lovelessness.
The title neatly summarizes the plot. More malicious in this opera than we’re used to, Figaro has concocted a plan to pocket half of Inez’s dowry by marrying her to a fellow servant dressed as a nobleman. To expose the deceit, Cherubino disguises himself as yet another servant, also named Figaro.
Unsurprisingly, complications ensue. Surprisingly, in Nathan Hull’s bare-bones but vibrant production they came across as genuinely clever and funny ones. Felice Romani’s libretto has the elegance and wit of Lorenzo Da Ponte’s for “Le Nozze di Figaro,” and Mercadante’s happily burbling, endlessly tuneful score has Rossinian energy and flair.
Conducted by Gregory Buchalter, Amore’s orchestra struggled with intonation and ensemble, but the cast and chorus were talented and confident, led by the poised, rich-voiced Cherubino of the adventurous mezzo-soprano Abigail Fischer; the baritone Daniel Quintana’s smooth, savvy Figaro; and the soprano Iris Karlin’s enthusiastic Susanna. It was enjoyable enough to make you look forward to the rest of the company’s season, which aptly includes the Mozart and Rossini works with which Mercadante’s opera — sure, thanks to Mr. Muti, to belatedly enter the repertory — forms a memorable triptych.
Zachary Woolfe, The New York Times, 19 ottobre 2011
Riccardo Muti in his element with further adventures of Figaro
– George Loomis | 14 giugno 2011
SALZBURG, AUSTRIA — “The Marriage of Figaro” has long been anopera in search of a sequel. Opera enthusiasts are curious about what happens to Count Almaviva’s relationship with his wife after the musically exquisite reconciliation engineered by Mozart. From a broader perspective, a follow-up work would complete a trilogy of operas inspired by the plays of Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais that was begun by Rossini’s “Barber of Seville.”
Several composers have made operas out of Beaumarchais’s third Figaro play, “La Mère coupable” (The Guilty Mother), yet none achieved staying power. Part of the problem is probably the play itself, which is considered less scintillating and more sentimental than its predecessors.
Beaumarchais, however, was not the only playwright to take up where his “Mariage de Figaro” left off. In 1795, three years after the premiere of “La Mère,” “Les Deux Figaro” by Honoré-Antoine Richaud Martelly, an author and actor, was put on in Paris. In 1820, an operatic version by Michele Carafa with a libretto by the great Felice Romani (author of Bellini’s “Norma” and much else) appeared in Milan, with other settings of Felice Romani’s text, including one by Saverio Mercadante, following in its wake.
Last weekend at the Salzburg Whitsun Festival(www.salzburgerfestspiele.at), Riccardo Muti conducted the first performances since 1835 — its only other staging — of Mercadante’s “Due Figaro” (The Two Figaros) with revelatory results. The opera brought to a close Mr. Muti’s five-year term as artistic leader of the festival, during which it was possible to see the unusual and intensely stimulating phenomenon of one of the world’s foremost musicians engaging in a project of musical excavation.
A native of Naples, Mr. Muti turned the festival into a forum for the city’s incomparably rich musical heritage, with staged performances each year of an opera by an 18th-century master like Paisiello, Cimarosa and Jommelli, as well as the young Mozart. Each work proved valuable in its own right, yet “I Due Figaro” has emerged with the best chance of finding a wide audience. Mercadante (1795-1870), a Neapolitan who also wrote flute concertos, was an opera composer of great repute, although he never won a place alongside the big four, Rossini, Bellini, Donizetti and Verdi. Because of the dramatic vigor of his serious operas, he was an important precursor of Verdi, but his comic works have been almost wholly overlooked.
He was Rossini’s successor as resident composer at the Teatro di San Carlo in Naples and later headed the city’s prestigious conservatory, but “I Due Figaro” arose from a commission in Madrid. Alas, its subject matter proved no less politically risqué during the Restoration than during the 1780s, when Mozart wrote his opera. Censorship prohibited the opera’s 1826 premiere in Madrid; it did not reach the stage there until nine years later.
Reencountering, via Romani’s witty libretto, characters one knows and loves was a delight in Salzburg. The Count and the Countess’s marriage still limps along, and even that of their resourceful servants, Figaro and Susanna, shows signs of strain. True love apparently exists only among the younger generation.
The opera involves two rival plots. One is spearheaded by Figaro, a real rogue here, in a scheme to have the Count’s daughter Inez (who loves the former page Cherubino, now a young man) marry a supposed nobleman so that Figaro can pocket half the dowry.
Meanwhile, Cherubino, in the guise of a would-be servant coincidentally named Figaro, bursts on the scene and quickly gains the Count’s confidence. But, with the help of the Countess and Susanna, he sets out to thwart the arranged marriage. Complications, of course, arise. At one choice moment, the supposed Figaro cleverly extricates himself from a predicament by suddenly claiming to be smitten by Susanna, who plays along with the idea, thereby enraging the real Figaro and delighting everyone else.
Predictably, “I Due Figaro,” with its fast pace, sparkling ensembles and impeccable craftsmanship, unfolds much like a Rossini comic opera. But Mercadante is no Rossini clone. He avoids formulaic repetitions, and his well-cultivated melodies often point toward the future. At the end, Susanna pleads with the Count to forgive Figaro while singing a melody of Bellinian pathos. And Mercadante’s clever use of Spanish rhythms adds a welcome element of local color.
Emilio Sagi’s production, with Daniel Bianco’s décor handsomely lighted by Eduardo Bravo and stylish period costumes by Jesús Ruiz, sets the action in a pillared courtyard of the Almaviva palace, with a fruited tree and lots of plants, although a large table at the center seemed more a hindrance than a help. The lively stage action stayed true to the opera, facilitating its recognition as the comic gem it is.
Mr. Muti’s earlier efforts drew criticism from some quarters for lacking currency with recent 18th–century performance practices. But he was clearly in his element here, enforcing due respect for the score and drawing winning performances from an outstanding cast of young singers and the excellent Luigi Cherubini Young Orchestra.
Eleonora Buratto, a singer destined for important things, was captivating as Susanna, and Annalisa Stroppa sang engagingly as a vivacious Cherubino, here, as in Mozart, a mezzo role. Asude Karayavuz and Rosa Feola made lovely contributions as the Countess and Inez. Antonio Poli sang the Count with a fine bel canto tenor of genuine substance, and the baritone Mario Cassi brought out Figaro’s wiliness. There were just two performances in Salzburg, but “I Due Figaro” goes to the Teatro Real in Madrid next March and other theaters ought to take it up. Indeed, I look forward to the day when an accomplished producer stages it as a triptych with its illustrious predecessors.
George Loomis, The New York Times, 14 giugno 2011
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